Appunti di viaggio V

Dopo 23 km di “passeggiata” a piedi nelle vie della città posso dirlo: che bella scoperta che è stata Sevilla! La capitale dell’Andalusia con la sua Cattedrale, l’Alcázar e l’Archivio delle Indie ha un aspetto davvero caratteristico e ovunque ci si volti la città racconta del dominio arabo e, soprattutto, della dinastia degli Almohadi che la scelse come capitale dopo il califfato di Cordova. È a quest’ultimo periodo del dominio islamico che si devono la costruzione di #monumenti straordinariamente belli come la Giralda (la torre della Cattedrale), l’imponente Torre dell’Oro, l’Alcazar e le mura della Macarena. È solo nel 1248, dopo due anni di assedio, che Ferdinando III di Castiglia conquistò e riannesse la città al mondo cristiano.

La visita alla Plaza de Toros – la “Maestranza” di Siviglia è la più antica di tutta la Spagna -, com’è normale che sia, mi ha lasciato sentimenti contrastanti. Entrato nell’arena in cui il dio Dioniso si fa toro, mi sono seduto per terra e, guardandomi intorno, ragionavo sul fatto che la tauromachia è una pratica antichissima, non solo spagnola (Paese nel quale resta iconica), ma le cosiddette “giostre dei tori” erano popolari nello Stato Pontificio e si svolgevano anche – lo ricordo per gli amici marchigiani – nello sferisterio di Macerata! Vi era anche una Caccia ai Tori in Campo San Polo a Venezia. Insomma, esisteva una tradizione italiana ma ci siamo lasciati queste pratiche alle spalle e le arene sono state convertite. La pietas nei confronti di un essere vivente e l’opposizione ad una morte non etica in me prevale ma mi rendo anche conto che le corride danno lavoro ad un intero indotto in tutto il Paese: dagli allevatori fin dentro le arene. Come riconvertire tutto? Resta il dato di fatto che il “tercio de muleta” si conclude con l’uccisione di un animale e nella barocca Real Maestranza de Caballería de Sevilla è un evento che riunisce 12.000 persone.
Sentimenti contrastanti, dicevo.

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