Appunti maltesi II

Triq Ir-Repubblika, fin dalle prime ore del giorno, brulica di signore che fanno shopping natalizio, coppie che camminano sottobraccio, ragazzini che giocano a rincorrersi all’ombra delle imponenti linee geometriche del nuovo Parlamento maltese, anch’esso, come il city gate, opera recente dell’architetto Renzo Piano. 

Non sono sicuro che mi piacciano le linee di questa struttura – mi paiono mastodontiche, in conflitto con alcuni tratti barocchi dell’architettura cittadina – ma, ritrovando una vecchia foto della piazza nel 2005, sono sicuro che sia meglio questo edificio, rispetto ad un orribile parcheggio preso d’assalto dai cittadini maltesi.

Uscendo dalla porta della città, faccio due passi e sono alla fermata degli autobus di Malta a cercare la linea 53 che mi porterà dalla capitale a Ir-Rabat. Gli italiani la chiamavano “Rabato della Notabile”. 

Dopo una quindicina di minuti arriva il bus, guidato da un uomo che ha dei lineamenti tipici del sud-est asiatico: non sono sicuro che esistano dei maltesi autisti di autobus; o, almeno, io non ne ho visti. Mi pare un lavoro che, in larga parte, è svolto da migranti che sono stati accolti in un Paese che ha una solida identità multietnica, come tutte le isole e i luoghi che si prestano ai transiti.

Saliti a bordo, ad un certo punto, prima di partire, l’autista scende e va a parlare con un collega. Tornato a bordo comincia a dire in un maltese abbastanza incerto, ai pochissimi presenti e quasi tutti turisti, che non riesce ad accendere l’autobus e che avremmo dovuto prendere quello che si era fermato dietro di lui. O almeno è ciò che ho capito io cercando di seguire le parole e i gesti delle mani.

Scendiamo e risaliamo sul “nuovo” 53. I maltesi cominciano ad affollare il bus dopo due o tre fermate periferiche: transitiamo in mezzo al villaggio Attard, in questo susseguirsi di case basse, in pietra, alternate con i palazzi nuovi, dalle linee moderne ed essenziali. Siamo proprio al centro dell’Isola e sul mezzo ora non c’è più un posto libero.

Dopo una giornata trascorsa sull’isola ho capito che i maltesi sono famosi per tutto, eccetto per parlare a bassa voce. Il loro dialogo è spesso un vociare forte, per nulla intimo e mi stupisco nel ritrovarmi ad ascoltare ammaliato questa cantilena da cui, alcune volte, spuntano fuori delle parole che “ci somigliano”: Buongiorno è “bonju“; Grazie è “Grazzi“; Scusa è “Skuzu“; se vai alla posta stai andando alla “Posta” esattamente come diremmo noi.

Ora, quando manca davvero poco all’arrivo, c’è questo ragazzo che non ha trovato posto e si è aggrappato ad una delle maniglie del corridoio per non cadere. Ad un certo punto comincia a parlare ad alta voce in maltese. Incomprensibile. Non bado a lui ma tre signore corpulente, sedute una di fianco all’altra, dopo averlo ascoltato cominciano a guardarsi tra di loro e poi a volgere lo sguardo sotto i sedili. Il ragazzo insiste e se la ride, parla anche al fondo del bus e tutti reagiscono alla stessa maniera, guardandosi intorno e per terra. A me pare un po’ strambo nel modo di porsi e parlare ma le persone gli danno credito. Allora chiedo al ragazzo seduto vicino a me se può tradurmi in inglese quello che sta dicendo e perché le signore sono così preoccupate. 

Mentre glielo sto chiedendo una donna addirittura si alza e, alla prima fermata, scende dal bus. Il mio vicino di seduta mi dice che questo ragazzo stava informando i viaggiatori che sull’autobus ha visto infilarsi, sotto ai i sedili, un serpente e che non riesce a capire dove sia finito. Io dentro di me mi chiedo: ma come caspita fa un serpente a salire dalla porta?

Mi rivolgo direttamente al ragazzo che si era avvicinato ad un metro da me e gli chiedo se il serpente avesse almeno il biglietto. Lui prima mi guarda interdetto ma poi mi risponde: “Questo non lo so, non l’ho visto”. Allora mi volto e tranquillizzo una signora che si era rannicchiata con le gambe sollevate proprio dietro di me. Le dico: “stia tranquilla è solo matto”.

Scendo a Ir-Rabat e c’è un bellissimo sole. Chissà se il serpente alla fine della corsa è sceso pure lui insieme a me o se era tutto un gioco, un’allucinazione. Forse c’era davvero ma se n’è fuggito al di là delle cose tangibili, in quel luogo verso cui tendiamo sempre ma che non riusciamo ad afferrare se non col pensiero; lì dove tutte le cose che perdiamo si rifugiano assieme alle nostre emozioni quando svaniscono: sono lì che oscillano nell’altrove seguendo le vibrazioni della vita.

 

 

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