Non farti fottere dalla (n)ostalgia I

Giovedì sera ero a Roma con l’idea di trascorrere il weekend in città. Nel pomeriggio, navigando in modo abbastanza casuale sul web, mi ero imbattuto nelle fotografie “rubate” all’interno della Bojanska cărkva, una chiesetta ortodossa bulgara, eretta nel X secolo e immersa in questo piccolo bosco nella periferia di Sofia. Nasconde al suo interno una delle testimonianze più vivaci e inattese dell’arte pre-rinascimentale. Mi sono detto, senza che mi sembrasse una scemenza: “Faccio il biglietto e domattina salgo su qualche autobus e vado a cercare questa chiesa”. Prima di mezzogiorno ero già all’aeroporto di Sofia, sbarcato nel vecchio terminal sovietico, accolto da un cielo grigio perfettamente intonato con il perimetro del letište.

Uscito dall’edificio imparo subito la prima lezione: se non ti chiami, che ne so, Dimitar, il taxi non lo devo prendere mai. Devi sapere che non c’è modo di fottere un tassista bulgaro. È come Maradona, Rocky Marciano e Bobby Fischer: semplicemente imbattibile. Per quanto tu possa litigarci, discutere di cambio euro/lev, fraternizzare con una pacca sulla spalla, lui comunque sorride amichevolmente e poi ti fotte. C’è da restare davvero commossi per la qualità che ci mette, per la grazia e la libertà del gesto tecnico.

I taxi bulgari, ho scoperto dopo un rapido calcolo, sono più cari di quelli di Roma e forse pure di Firenze però quando scendi sei comunque felice perché hai visto lavorare un artista che ti porta da un capo all’altro della città con Celentano a tutto volume (senza sapere che sarebbe salito un italiano!) e i sedili di una vecchia e scassata mercedes 240D gialla, intrisi di sigarette nazionali e Arbre Magique bulgaro.

“Come ti chiami?”, domando.

“Igor”, mi risponde annuendo.

“Ciao Igor, senti, che che gusto è?”, chiedo in inglese mentre gli indico la profumazione ambiente, guardando il tassametro tarocco che corre via meravigliosamente.

Lui mi fa: “Cocco e arancia. Buono vero?”.

“Sì sì, buonissimo”, rispondo completamente nauseato.

All’arrivo mi chiede se mi serve altro. Gli dico che mi ha pulito – non sapevo come dire in inglese “furto con destrezza” – ma dato che era lì con quello sguardo sornione, est-europeo, come per dire “per quel che paghi ti porterei anche all’altare”, rilancio io: se aspetti 20 minuti e poi mi porti dall’altro lato della città per 10 lev (5€) siamo ancora in affari, come se fossimo due vecchi soci.

Glielo propongo e resta spiazzato. Gli spiego che la partita con me l’ha già vinta e può trattarmi come se fossi un Dimitar qualsiasi: tu ti accontenti di 10 lev, io riduco la spesa media sulla singola corsa (La logica è identica a quella applicata dagli investitori in borsa quando comprano le azioni che hanno nel portafoglio titoli per ridurre il prezzo medio di carico). Lui si fa una risata. Ovviamente non ha capito nulla o forse pochissimo. Ad ogni modo siamo sulla stessa linea.

E da oggi chiamatemi Guidovic.

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