Il privilegio di essere Carlotta

A Carlotta Rossignoli vanno fatti i migliori complimenti per il suo percorso; e vanno fatti fino a prova contraria: chi può fornirla deve utilizzare i luoghi preposti – le aule di tribunale – e non la gogna mediatica, le inutili lettere al Rettore e i social network. Questo in premessa, per ristabilire un poco di civiltà, di regole e garantismo. Mi costa dirlo visto che mi trovo a dover dar ragione all’insopportabile Burioni.

Ciò detto: che brutta prova sta dando, di nuovo, l’informazione del nostro Paese e i tanti opinionisti che si sono prodigati, da un lato, per tessere le lodi del percorso di questa ragazza, dall’altro per metterla in croce, alimentando sospetti e retropensieri certamente favoriti – e qui possiamo dircelo – da un volto e un modus vivendi che non sembra affatto quello della secchiona iscritta a Medicina. Direte che questi, però, sono solo stereotipi ed infatti avete ragione.

A parte il brutto spettacolo che stanno dando tutti, dicevo, è davvero deprimente che pochissimi abbiano trovato un momento per riflettere, al di là della gazzarra, non sulla persona (sulle foto che pubblica, sul volto allampadato ecc.) ma sul modello che sta promuovendo, amplificato da una parte del giornalismo del nostro Paese.

Completare il proprio percorso a tempo di record, bruciare tutte le tappe possibili e immaginabili, rinunciare al sonno per moltiplicare le ore da dedicare alla carriera televisiva, al percorso da modella e a chissà quante altre cose, mi pare che restituisca un messaggio sbagliato da qualsiasi punto lo si guardi: è il trionfo della corsa perenne e la negazione dell’esistenza che è fatta anche di perdita di tempo, di ozio, di libertà di non farcela e di imperfezione, liberati dalla retorica dell’apparire ad ogni costo.

Credo che questo Paese, per salvarsi, certo dovrà trovare un modo di riconoscere e valorizzare le qualità di chi eccelle, ma anche e soprattutto – perché è su questo terreno che si misura la salute di una democrazia e delle sue istituzioni – di garantire a tutti pari possibilità di realizzazione personale e di difendere con le unghie e con i denti i “perdenti” di questa competizione a cui è stata costretta una generazione che ha troppi pochi titoli, troppi pochi erasmus, troppi pochi master, troppe poche specializzazioni post-laurea per vivere una vita semplicemente normale. La conseguenza di questa gara di velocità, quale che sia il proprio effettivo sviluppo intellettivo e umano, produce quei mostri a cui assistiamo quotidianamente: le richieste di aiuto da parte degli studenti che non ce la fanno e i gesti disperati, riusciti o tentati, a cui nessun “bonus psicologo” può dare una risposta diversa da un pannicello caldo. Il covid e la didattica a distanza hanno solo amplificato questa tendenza.

Anche se oggi al nome del dicastero dell’Istruzione è stata aggiunta la parola “merito”, per me la scuola resta quella di Barbiana, di Don Milani, della Montessori. Spero che il Ministro dell’Istruzione lasci libere le Carlotta Rossignoli di fare il loro percorso (libere anche dall’ossessione del risultato ad ogni costo), ma lavori giorno e notte per permettere a tutti quelli che hanno le capacità, ma non i mezzi, di potersi comunque realizzare.

 

“La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde.”

L. Milani, Lettera ad una professoressa, 1967

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