Torneremo a parlare dei gentiluomini di fortuna

Dopo aver letto Marcuse, scherzando, siamo tornati a parlare dei gentiluomini di fortuna; degli idealisti che seguono le stelle perdute nel firmamento alla ricerca di approdi inesistenti, di isole immaginarie dove sorgono città solo ipotetiche, nascoste al di là di orizzonti apparenti, dove la noia è un piacere e il tempo è ancora ciclico.

Chissà dove si nascondono questi viaggiatori che un tempo governavano il mare con il vento! Saranno in fuga dalle rotte dei grandi cargo e dalle linee produttive; scappano dalle certificazioni uniche, dalle lauree magistrali e dalle aliquote irpef; lasciano l’Africa subsahariana o sono finiti dimenticati in qualche isola del Pacifico orientale a scrivere poesie d’amore e a custodire l’altrove.

Non ci ritroviamo forse a giocare con l’immaginazione, sognando di vivere le loro vite come antidoto alle nostre? A volte capita perché l’inconscio suggerisce di metterci in salvo. Non siamo mica pronti per essere senza sogni! Abbiamo ancora bisogno dell’allegria immotivata, di sfuggire alla tristezza sciocca e di metterci al riparo dalla nostalgia del futuro perduto.

Ma quanto erano belle le notti d’estate – belle assai – , trascorse a raccontarci quelle storie! Sì, torneremo di nuovo a parlare dei gentiluomini di fortuna e delle loro patrie interiori, sognando di essere apolidi e di partire alla scoperta del tesoro nascosto.

Ieri sera, quando ho preso sonno, mi è successo davvero. Ho sognato di essere seduto sopra un tetto a Tiburtina: all’orizzonte, dietro Pietralata, inventavo il mare. Guardando bene c’era una piccola barca a vela, percettibile appena. Nascondeva nella stiva uno scrigno che conteneva il più bello dei tesori: il coraggio di credere nel tempo perduto e la forza di aspettarti ancora.

 

 

 

Foto di Egor Myznik su Unsplash
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