E se tutto questo fosse un sogno?

Lo diceva anche Pessoa che potremmo essere i sogni di qualcuno che sogna, o i pensieri di qualcuno che pensa e prima di lui lo scrivevano gli scettici che non credevano alla verità del mondo.

Però spiegami allora perché le pagine del diario della nostra vita a volte si strappano, i sorrisi si rivelano, le foglie si arrendono all’autunno, le guerre terminano con gli armistizi e gli sguardi ci rendono muti.

Certo che potrebbe essere tutta una credibilissima rappresentazione, però spiegami perché sogniamo la fuga guardando il beccheggio cheto delle barche che se ne stanno nel porto, anelando il mare. Dove vogliamo andare? Quale porto sicuro vorremmo lasciare se tutto ciò che esiste è il riflesso dell’altrove?

Spiegami, se la vita non è qui, cosa ce ne facciamo di questi 120.000 km di vasi sanguigni che portano a spasso il garbuglio di sogni che siamo, ci sostengono quando ci spezziamo e poi, di buona lena, siamo lì che rammendiamo, acconciamo e risistemiamo tutto per ricominciare da capo con un’ostinazione che ha del miracoloso. Sarà pure tutta un’allucinazione della coscienza collettiva, però per quale motivo tutto questo avviene? Perché vogliamo metterci in salvo? E da cosa?

Ma no… la vita è un sogno della coscienza, certo. Ma se tutto questo dovesse per puro caso esistere sul serio, le nostre vite sarebbero una fessura di luce tra due infiniti e nel mezzo le nostre storie da rivoluzionare completamente, imparando dalla libertà dei saltimbanchi dell’esistenza, dei viaggiatori senza meta, dei bambini annoiati, dei gentiluomini di fortuna, dei solitari dal cuore spezzato e degli amanti che sfioriscono. Dovremmo ricominciare da capo, insomma, affidandoci ad una delle poche regole universali del mondo degli uomini: una somma di piccoli gesti gentili, gratuiti e disinteressati cambiano il mondo.

 

 

 

Foto di Egor Myznik su Unsplash

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