È cominciata la fuga dal Lavoro?

Ci sono 1,6 milioni di persone che se ne sono andate dal loro lavoro negli ultimi 9 mesi. Sono i dati del Ministero del Lavoro a certificare la cifra, segnando un +22% rispetto al 2021.

Un deciso cambio di passo nella pianificazione dei progetti di vita delle persone, non c’è dubbio.

A Malta avevo incontrato Marco, un ragazzo di neppure 23 anni conosciuto per caso a Tarschen: studioso di psicologia e appassionato di informatica, stava cercando di costruire un proprio sistema di import-export per rilanciare alcuni microbrand siciliani fuori dal sistema dell’e-commerce, basandosi sulle teorie più in voga del cosiddetto neuromarketing. Non so se il suo progetto avrà successo in futuro ma questo ragazzo di poco più di 20 anni ha preso la valigia, ha lasciato una Palermo con poche prospettive, si è trasferito a Malta dove ha trovato subito lavoro (in un’azienda con 20 dipendenti nella quale il Ceo è più giovane di lui!). Una soluzione “tampone” con l’obiettivo più ambizioso di mettersi in proprio, partecipando ad un bando per reperire i fondi necessari allo sviluppo della piattaforma. Mi raccontava di questo progetto non come una favola, un sogno, ma mi segnalava che a Malta le probabilità di sbloccare il finanziamento e trovare personale per la fase esecutiva sono molto elevate.

È un esempio che, sicuramente, non è utile per compiere una generalizzazione però è pur vero che c’è una generazione, quella dei cosiddetti centennials (nati dopo il 1997), che ha una percezione delle opportunità, della mobilità, del lavoro e della finanza personale, completamente diverse dalle generazioni precedenti, compresa la mia.

Io credo che le istituzioni italiane debbano, presto o tardi, prendere atto di un processo storico non guardando alle singole dinamiche del mercato del lavoro, semestre su semestre, ma nella sua globalità. Ad oggi, osservando le politiche pubbliche, mi pare valga, come metafora, la scena di quel film di Kassovitz del 1995 dove il protagonista Hubert vola giù da un palazzo di 50 piani e continua a farsi coraggio, metro dopo metro, ripetendosi: “fin qui tutto bene”. Eppure lo schianto è dietro l’angolo. Soluzioni tampone non hanno alcuna utilità davanti ad un processo ampio innescato dal covid, dall’innovazione tecnologica e dalle nuove opportunità determinate dal lavoro da remoto (che in Italia è stato “scoperto” relativamente di recente (Sociologi del Lavoro come De Masi, da eretici, parlavano già di “telelavoro” e “ozio creativo” negli anni ’60!) .

La gente, in questi anni, è rimasta a casa a causa del distanziamento sociale, ha cominciato a scoprire nuovi modi di essere, ad ascoltarsi più in profondità. Il che significa pensare in modo differente e scoprire nuove priorità per sé stessi, immaginando un progetto di vita alternativo come concretamente possibile.

Viviamo in un Paese nel quale, tra i lavoratori dipendenti, si registra uno dei livelli più bassi di soddisfazione del lavoro, appena il 5%; e questo dato si aggrava e si avvalora considerando che nel nostro Paese il livello delle retribuzioni da lavoro dipendente, proiettando l’analisi agli ultimi 30 anni, è tra i più bassi di tutta la zona UE. Se consideriamo poi che da queste ricerche sono sovente escluse le forme di lavoro atipiche, in primis collaboratori parasubordinati e le “false partite IVA”, allora ci rendiamo conto della dimensione del problema.

C’è un mercato del lavoro molto attivo ma non solo sul lato delle dimissioni. Questo bisogna riconoscerlo per inquadrare il “problema” nella sua globalità.

Balza agli occhi, infatti, che alle dimissioni corrispondono, nello stesso periodo, 3 milioni e 155 mila posti di lavoro attivati, il che segnala la possibilità di una buona mobilità, favorita anche dalla stagione concorsuale nella PA e dalle politiche che hanno incentivato la crescita in alcuni settori come quello edilizio (Bonus 110% e Sisma Bonus).

Si cerca quindi un lavoro migliore, più stabile, con opportunità di crescita sul medio e lungo periodo. Investimenti pubblici massicci hanno, in parte, “drogato” il mercato ma, presto o tardi, dovremmo fare i conti con questa nuova sensibilità manifestata da milioni di persone che non sono in cerca di un lavoro purchessia.

Le cose stanno davvero cambiando. Bisogna capire se in Italia ce ne accorgeremo prima che sia tardi.

Continueremo a dirci “fin qui tutto bene” o proveremo ad evitare lo schianto?

 

 

 

Foto di Olena Sergienko su Unsplash

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