Ascoli, i palloni e “la Chiesa al centro del villaggio”

Quando si parla di marketing e dell’effetto che ha sulla nostra psiche la nostalgia, mi torna in mente Don Draper che presenta il Kodak Carousel in quella puntata di Mad Man: “la nostalgia è delicata e potente. […] Ci fa viaggiare nel modo in cui viaggia un bambino: gira e rigira e poi torna a casa, che è il posto dove sai di essere amato”.

Abbiamo scoperto che la più potente campagna pubblicitaria per Ascoli Piceno – neppure una geniale agenzia di marketing avrebbe potuto progettarla meglio – è stata mandare una squadra di operai a pulire la grondaia sopra al tetto di una chiesa. Ne stanno parlando letteralmente in tutta Italia e non solo.

Dalla pulizia del tetto vengono giù decine e decine di palloni, la materializzazione perfetta del terrore di ogni bambino che ha avuto un’infanzia semplicemente normale: sparare il pallone sul tetto senza vederlo rimbalzare giù per tornare poi a casa a mani vuote. Era lì ad attendere qualcuno perfino il modello messo in vendita in occasione del Mondiale di Argentina del 1978, il pallone che ha visto “el caudillo” Passarella tirare su la Coppa del Mondo davanti la juntas militares. Immagino che il proprietario di quella palla oggi non abbia meno di 50 anni e sarei pronto a scommettere che vorrebbe riprenderselo per riportarlo a casa; andare dai genitori, se ancora vivi, ritrovandoli per magia giovani – più giovani di lui – e dirgli che la palla è tornata giù, che non servivano la litigata e neppure gli scapaccioni presi 44 anni fa!
 
La nostalgia crea legami pre-logici; è etimologicamente la sensazione di tristezza causata dalla lontananza dalla propria casa e il contemporaneo desiderio di farvi ritorno. Casa e focolare che non sono solo un luogo fisico ma soprattutto ideale. In quei palloni ognuno vede un pezzo del proprio passato, la materializzazione del cliché perfetto dell’Italia profonda: la “Chiesa al centro del villaggio” e i palloni che finiscono sui tetti. Il passato in quanto tale resta qualcosa di inaccessibile e pieno di significato per ognuno di noi e la distanza e l’inaccessibilità aumentano il desiderio e lo struggimento. Per questo non può esserci pubblicità migliore per il Comune di Ascoli Piceno della pulizia di una grondaia.

 
Un paio di appunti di carattere sportivo. Qualche campione di algebra e profeta dei segni, ha scoperto che la somma dei palloni ritrovati corrisponde esattamente al numero di stagioni che l’Ascoli Calcio 1898 ha giocato in serie A e B, casualità che accogliamo con favore, ricordando che sul tetto c’è ancora spazio in abbondanza! Seconda questione: tra quei palloni sgonfi ed ammuffiti non ce n’era neppure uno nuovo, evidenza che dà la motivazione esatta del perché abbiamo smesso di essere un popolo di calciatori, prima che di poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori e trasmigratori. Quando qualche guru della tv ci spiega perché non abbiamo una selezione nazionale di campioni, ricordiamoci che è finito il tempo in cui nel pomeriggio si combatteva la noia (che è premessa del genio) e ci si divertiva per strada senza smartphone, giocando in spazi angusti, con palloni scrausi, senza divise e colori per riconoscersi. Era un tempo in cui, di tanto in tanto, poteva accadere che il ragazzino di fianco a te, sollecitato meglio degli altri al colpo di genio e al gesto tecnico, si chiamasse Roberto Baggio, Francesco Totti, Alessandro Del Piero, Paolo Rossi e Gigi Riva.
 
Quei palloni in Piazza San Tommaso, ora finiti chissà dove, ci ricordano che il tempo passa, le generazioni cambiano e pure la “chiesa al centro del villaggio” non si sente molto bene.
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