Ciao Maria Giovanna, amica cara

Maria Giovanna non c’è più. È dura, oggi, scrivere queste parole, dopo mesi trascorsi a cercare conforto negli aggiornamenti quotidiani di Carlo e di Francesca che le sono stati vicino con amore e cura, giorno dopo giorno, fino ai suoi ultimi istanti di vita.
 
Mi domandavo: cosa potrei dire di Maria Giovanna Maglie? E soprattutto: come potrei riuscire a separare la dimensione personale dalla sua dimensione pubblica? È un’operazione quasi impossibile. Lei, infatti, era totus politicus; convinta – come molti intellettuali della sua generazione – che dopo la politica ci fosse sempre e comunque la politica, cioè la costituzione, l’ organizzazione e l’amministrazione dello Stato; il governo dei processi sociali che si generano nella vita pubblica. Lei era nata per questo, decisamente. E lo si comprendeva dalla qualità delle sue intuizioni e dalla capacità di vedere i problemi politici da angolature che potevi a volte anche non condividere ma non erano mai banali. È stata la stessa capacità di comprendere gli umori profondi della società, che la portarono ad intuire, in tempi non sospetti – quando sembrava poco più che una boutade -, cosa stesse accadendo negli Stati Uniti, prima dell’elezione clamorosa di Donald Trump. Fu la sua seconda, grande, intuizione di politica estera: molti anni prima, infatti, incontrò il giovane carneade William Jefferson Clinton, detto “Bill”, in Arkansas – letteralmente: nel “nulla” dell’America profonda – e lo immaginò capace di vincere le presidenziali contro Bush.
 
Maria Giovanna, per chi l’ha conosciuta, è stata molto di più che una giornalista “col fiuto”. Per me è stata un’amica che, 8 anni fa, arrivato a Roma senza sapere bene cosa “fare da grande”, mi ha accolto nella sua vita senza pregiudizi e con amicizia, costruendo spazi e momenti di condivisione, di incontro e di dialogo anche aspro quando serviva: aveva il carattere e la tempra di chi poteva rinunciare a tutto fuorché al confronto appassionato sul terreno delle idee. Polemista di razza, hanno scritto in queste ore; altri hanno aggiunto: imperatrice, eccentrica, leonessa, libera, mondana, anticonformista e dialetticamente impeccabile. Credo siano tutte definizioni molto vicine alla realtà ma che non riescono ad essere, nel loro insieme, davvero esaustive.
 
I ricordi, adesso, tornano confusi ad affollare la mia mente e sono sicuro che il tempo li tramuterà in qualcosa di molto simile ad un sentimento di gratitudine per le tante cose che ho imparato da lei, attraverso i racconti, gli aneddoti, la sua storia personale e i tanti consigli – anche “duri”, a volte – per sprovincializzarmi; per abbandonare il piagnisteo comodo dell’underdog eterno. Le dicevo spesso, scherzando, che era come se avesse vissuto due vite perché nel suo percorso aveva avuto il privilegio di poter documentare, da inviata di guerra, quegli accadimenti storici che oggi leggiamo nelle migliori/peggiori pagine di storia contemporanea.
 
Mi restano, tra i ricordi più cari, tante serate che finivano all’alba, ai piedi dell’orto botanico di Trastevere, oppure le discussioni appassionate in quell’estate a Panarea dove mi raccontava del passato, della politica, del Medio Oriente, degli anni Ottanta, del sud America ma senza alcuna nostalgia, neppure per i momenti più belli. E infatti mi disse nel giorno del suo 69° compleanno: “Guido, io nella mai vita ho sempre creduto nel futuro. Non mi sono mai guardata indietro”.
 
In quei ricordi c’erano anche tante storie del periodo, a cavallo tra il 1979 e il 1987 , in cui aveva lavorato per l’Unità come inviata in America Latina, occupandosi di politica internazionale per lasciare poi il giornale a causa di insanabili divergenze ideologiche con il Partito Comunista Italiano. Amava ricordare, con una battuta di spirito, che gli anni della militanza nel PCI erano gli anni in cui “o facevi la terrorista, o ti drogavi o ti iscrivevi al Partito”. Lei, da borghese, scelse la terza strada. Durò poco perché, con l’arrivo degli anni ’80 e della stagione del “vangelo socialista” di Bettino Craxi e Luciano Pellicani, l’Italia si avviava ad un grande cambiamento culturale e sociale.
 
Rispetto alla rottura con quel mondo che (con clamorosa approssimazione) chiamiamo “sinistra italiana”, ricordo ancora, con una certa commozione che mi coglie ripensando ai suoi occhi lucidi, il racconto di una telefonata partita da Hammamet ad una redazione romana. Ricordo bene il racconto, chi fossero gli interlocutori e cosa si dissero. Una storia che resterà tra i miei ricordi personali ma che esemplificava alla perfezione il distacco – o meglio, la cesura netta e drammatica – che c’era stata tra le sinistre post-picciste e i tanti intellettuali socialisti, libertari e riformisti (storia nella quale Maria Giovanna Maglie va ascritta senza dubbio, nell’alveo del cosiddetto Socialismo tricolore), rocambolescamente transitati indenni nel nuovo secolo attraverso l’orribile stagione di “Mani Pulite”. Una fase storica con cui dobbiamo fare ancora i conti non solo per capire il cammino umano e professionale di Maria Giovanna Maglie (che scelse la gratitudine, la coerenza con le proprie idee e non il trasformismo di comodo) ma per comprendere cosa abbia voluto dire disperdere alcune tra le più nobili tradizioni politiche del nostro Paese, piantando i semi avvelenati della demagogia politica, del populismo sociale, dell’antipartitismo e della disintermediazione.
 
Per questa pagina del mio blog ho scelto, come foto, un bel veliero a due alberi che fotografai davanti la Spiaggia della Calcara mentre filavamo sul mare, verso Stromboli. Mi ricorda quei giorni che trascorremmo felici e spensierati alle Eolie e non mancavamo proprio di nulla: rubavamo al tempo alcune notti per parlare di politica e immaginare di partire tutti insieme per rivedere New York o per camminare sulle sterminate spiagge di Rio de Janeiro. Oggi che verrò a portarti il mio ultimo saluto, penso che la morte di una persona cara riguardi certamente chi ci lascia per l’Altrove, ma riguarda soprattutto noi che restiamo perché, lo scrive Apollinaire, nulla può dare valore ed innalzare la nostra vita più dell’aver amato una persona che non c’è più: “si diventa così puri da arrivare, nei ghiacciai della memoria, a confondersi con il ricordo. Se ne resta fortificati per la vita, e non si ha più bisogno di nessuno”.
 
Ciao Maria Giovanna, amica cara.
 

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