Transiti metropolitani

La metropolitana di Roma assomiglia ad un grosso e grasso serpente sporco che si trascina su e giù, da Rebibbia a Laurentina, da Anagnina a Battistini, qualche volta passa per Conca d’Oro, altre volte scivola dopo Borghesiana, fino a Monte Compatri (ma non si sa a fare che). Dentro ci sono alcune vite messe un po’ alla rinfusa: donne e uomini che stanno quasi sempre zitti ma a volte parlano; donne e uomini che non fanno smorfie ma certe volte ridono oppure piangono.

Chissà cosa c’è scritto sul biglietto attaccato a quella rosa rossa – mi domando. La tieni stretta nella mano sinistra mentre con la destra salti da una traccia all’altra di spotify e intanto pensi alla bellezza del fiore ma anche alle sue spine.

Tu, invece, seduto di fianco a me, questa sera stai cercando un diversivo per fuggire da te stesso. L’ho capito perché sei sceso nella metro mentre eri al telefono. Dicevi ad alta voce: “ma perché fai così. Lo sai che mi ero già organizzato. Come pensi che ci rimarrebbe mio fratello se gli dessi buca a quest’ora?”. In effetti è tardi, hai ragione.

Dalle mie cuffie parte Vitti ‘na Crozza cantata dalla fadista Amalia Rodrigues. E non sono più sicuro se mi sia perso, con la fantasia, nelle strade di Palermo o in cima al Barrio Alto di Lisbona. Il giro di lisboeta mi confonde e mette allegrezza.

Quante storie si incrociano in metropolitana – penso tra me e me. Quando scendo qui sotto, a volte, capita di confondermi. Mi è successo anche questa volta alla fermata Piramide, quando mi era sembrato di vederti salire. Se ti sedessi di fianco a me ora, mi lamenterei del ritardo e poi ti direi: “Credevo che non arrivassi più”. Tu mi risponderesti, tirando fuori dalla tasca una vecchia vita che avevi messo da parte:

“Guì che ci importa della gente? Lascia stare questi anni. Sono sempre io”

 

 

 

Foto di Marco Chilese su Unsplash
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