Un sogno (il luogo delle cose non dette)

Esiste un luogo dove abitano tutte le parole che non abbiamo detto, i confronti rimandati e tutto ciò che avremmo potuto raccontarci. Se ne restava lì, nascosto in un sogno: nel cielo si stagliava questo pianeta enorme e in avvicinamento come in quel film di Lars Von Trier; la marea intanto si alzava, sommergendo qualsiasi cosa, persino i miei pensieri.

Quando poi mi sono svegliato, mi è tornata in mente una serata trascorsa seduto su una panchina, sotto il gingko di Largo Respighi mentre bevevo una birra con un amico. Lui mi faceva notare, forse per un meccanismo di autoprotezione, che “ci ricordiamo molte prime volte ma non le ultime”; che gli sembrava di aver perso la memoria e di non aver vissuto tre anni della sua vita. Io ricordo di avergli risposto che tutte le ultime volte cominciano da una prima volta in cui, quasi sempre, siamo stati felici.

Ma cosa ce ne facciamo oggi di quella prima felicità perduta?

Potremmo cucirla e farne una vela; lasciare che ci guidi. Ci condurrebbe nella patria dei cuori infranti, di quelli che sono crollati, degli animi tristi, dei condannati alle malinconie violente ma è un’isola che – mi devi credere, solo oggi l’ho capito – non ha porti per quelli come noi.

Io lo so che vorresti fermarti ma lo sai che un sognatore deve andare oltre? Da qualche parte c’è il luogo che consola, dà riparo, calore, speranza e concede pacificazione a tutti i tumulti interiori. Io lo cerco come cerchiamo le cose perdute di cui però ci resta una memoria inconscia, come dell’odore del fumo dei camini di certe case di campagna da cui proveniamo tutti. È il luogo del nostro personale armistizio, dove dichiariamo concluse le guerre interiori e dove possiamo fare esperienza della gioia piena. A volte, mentre vago tra i miei pensieri, mi stupisco perché mi accorgo di averlo chiamato “futuro”. Lo avresti mai detto?

 

 

 

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