Aspettiamo senza avere paura, domani.

Una mattina qualsiasi di alcuni anni fa, non più del 2010, svolto meccanicamente l’angolo dal portico di via Barberia e scendo in via d’Azeglio verso Piazza Maggiore con la mia sacca verde a tracolla piena di libri, gli occhi impallati e fissi nel vuoto come chi sta ancora dormendo.
 
Cammino a passo svelto con l’idea di arrivare “al 36” per studiare senza dovermi inventare uno strapuntino. A metà via, davanti ad un bar, una specie di birillo umano vestito con un completo color panna, di lino, abbinato ad un panama dello stesso colore, mi si para davanti. Alzo gli occhi per capire chi è il pirla uscito spedito dalla porta del bar senza neppure guardare se stesse passando qualcuno e mi accorgo, di colpo, che il pirla sono io: occhialini tondi, barba un po’ incolta, Lucio Dalla se ne sta lì e mi squadra dal basso verso l’alto!
 
Io, raggelato, riesco solo a balbettare uno stupidissimo: “Buongiorno maestro!”. Lui, notando il mio imbarazzo, si toglie il panama e – mi pareva di sognare – tira fuori l’inchino migliore che gli potesse venire a quell’ora della mattina, ricambiando così il buongiorno.
 
Lucio Dalla – ripeto: Lucio Dalla – che ti fa l’inchino, ti domanda cosa studi, chiede se stai andando a lezione o a studiare, che ti dà del “tu” e ti saluta come se fossi il vicino di casa che vede tutte le mattine.
 
Oggi, dieci anni senza Lucio, ripenso a quella mattina in via d’Azeglio con la torre di palazzo d’Accursio che spunta tra i tetti, ripenso a Bologna, ad un mondo che è finito nel frullatore e alla vita “un po’ umida di pianto con i giorni messi male”.
 
“Aspettiamo senza avere paura, domani”
 

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